E’ possibile una difesa civile, non armata e non violenta?

In occasione del 2 giugno 2022, Festa della Repubblica, fu ripresentata la Campagna “Un’altra difesa è possibile”, promossa da cinque Reti della società civile italiana: Rete Italiana Pace e Disarmo, Tavolo interventi civili di pace, Conferenza nazionale degli E ti di Servizio Civile, Forum Nazionale Servizio Civile, Campagna Sbilanciamoci! In realtà l’iter era iniziato nel 2013 ma, in questi anni, grossi passi in avanti non se ne sono fatti. L’obiettivo della Campagna è il riconoscimento e sostegno a forme non armate e nonviolente di difesa nazionale, secondo il dettato dell’articolo 11 della nostra Costituzione, affinché i governanti e i cittadini capiscano che o troviamo il modo, dal locale all’internazionale, di risolvere i conflitti senza la violenza e senza ricorrere alle guerre oppure, con 13.000 testate nucleari puntate contro le teste di tutti, non ne usciremo vivi, ben prima del collasso climatico. Ciò che impedisce la soluzione pacifica dei conflitti è che qualcuno guadagna immensamente dalla trasformazione dei conflitti in guerre.
Quando nel 1961 il presidente Eisenhower lasciò la carica di presidente degli Stati Uniti, nel discorso di addio alla nazione, avvisò sui pericoli corsi dalla democrazia – nel presente e nel futuro – a causa della saldatura tra gli apparati della difesa e i produttori di armamenti, definendola il “complesso militare-industriale”.
Se ciò era vero nel 1961 è molto più vero adesso: pensiamo ad esempio ai 20 anni di sciagurata guerra in Afganistan, nella quale hanno perso tutti, tranne il complesso militare-industriale. La quantità di risorse trasferite dai governi alle industrie di armamenti in 20 anni di guerra afghana è raddoppiata e, da allora, questo flusso è costantemente cresciuto. Se dividiamo quei
2.240 miliardi di dollari di spese militari del 2022 per il numero dei giorni dell’anno fa 6,1 miliardi di dollari al giorno spesi in armamenti.
Sapete quale è il budget delle Nazioni Unite? 3,4 miliardi l’anno. Ciò significa che ogni giorno spendiamo in armi, cioè i governi trasferiscono nei profitti dell’industria bellica internazionale, il doppio delle risorse delle Nazioni Unite di un anno. Solo che proprio le Nazioni Unite avrebbero il compito di risolvere i conflitti con mezzi pacifici … come del resto anche il nostro paese, come dice anche la Costituzione italiana con il solenne ripudio della guerra. Ma l’interesse del complesso militare-industriale, oggi anche politico e informativo – come ha denunciato anche Carlo Rovelli al Concertone del 1° Maggio 2023 – è quello di trasformare i conflitti in guerre, anziché costruire credibili ed efficaci mezzi di risoluzione non armati e nonviolenti.
Oggi, spesso ci chiediamo se in ambito globale, vediamo emergere o inabissarsi l’opzione nonviolenta.
Come sempre nelle situazioni complesse, il bicchiere può essere considerato “mezzo pieno o mezzo vuoto” a secondo di come lo si guarda. Da un lato sembrerebbe che l’opzione nonviolenta non abbia chances, almeno nelle intenzioni dei governi e delle organizzazioni internazionali che dovrebbero essere preposti a costruire la pace e invece preparano e fanno le guerre. Dall’altro però, ci sono anche grandi visioni, capacità e risorse nelle società civili. Qualche esempio:

1) E’ stato appena pubblicato anche in italiano lo studio di Erica Chenoweth, politologa statunitense, che ha fatto una ricerca decennale nella quale dimostra come negli ultimi 120 anni (dal 1900 al 2020) il 59% dei conflitti di resistenza a dittatori e oppressori vari condotti dalle società civili con la lotta non armata e nonviolenta sono stati efficaci ed hanno avuto successo, contro il solo 27% dei conflitti armati. Quindi è in atto una crescente diffusione dal basso delle pratiche di lotta e resistenza nonviolenta e non armata, che ottiene significativi risultati.

2) Rispetto alla guerra in corso in Ucraina la società civile internazionale, rappresentata anche in Italia dal cartello ‘Europe for Peace’, è capace di condurre continuativamente mobilitazioni molto importanti per la pace e a sostegno degli obiettori di coscienza russi, ucraini e bielorussi. In Italia è in atto una campagna specifica del Movimento Nonviolento per il sostegno agli obiettori di coscienza, ai disertori e pacifisti dei paesi in guerra. E c’è anche un impegno informativo e culturale – per quanto minoritario – per l’opposizione alla guerra che contribuisce a far sì che la maggior parte di italiani (come emerge continuamente dai sondaggi) sia contraria all’invio di armi in Ucraina, nonostante la maggioranza di favorevoli tra le forze politiche presenti in Parlamento. 3) E’ in corso la Campagna per la messa al bando delle armi nucleari – che nel 2017 ha avuto il Premio Nobel per la pace – e grazie ad essa nel gennaio 2021 è stato raggiunto lo storico traguardo dell’entrata in vigore del
TPNW, il Trattato ONU per la proibizione della armi nucleari (grazie al superamento delle 50 ratifiche). Le armi nucleari sono quindi a tutti gli effetti illegali. Adesso è in corso la mobilitazione affinché anche i governi che non hanno finora aderito al Trattato, tra i quali quello italiano, lo sottoscrivano.
Dunque, da un lato c’è il complesso militare/industriale, con tutti i suoi agganci informativi e politici, che spinge al massimo nella follia bellicista, che, mai come oggi, può portare ad una catastrofe nucleare; dall’altro ci sono i popoli che, sempre di più, stanno prendendo consapevolezza della necessità di abbandonare la violenza e le organizzazioni sono sempre più capaci di fare rete per proporre un orizzonte diverso fondato sulla teoria e pratica di nonviolenza. L’Italia ha molti maestri ai quali ispirarsi, tra questi la lezione di don Lorenzo Milani – di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita – così efficacemente sintetizzata nella formula “l’obbedienza non è ormai più una virtù”. Oggi dobbiamo, più che mai, esercitare la disobbedienza culturale contro quella che Edgar Morin ha chiamato “l’isteria di guerra” dilagante. Purtroppo tutte le azioni non armate  di resistenza, anche se attuate a livello di massa o da larghi settori di popolazione, sono state disconosciute a livello ufficiale o quanto meno sottovalutate nella ricerca storica. Ritengo così logici questi pensieri che il contrario, così come verrebbe spontaneo pensare che portare la pace con le bombe suoni quantomeno come un ossimoro.
Specie quando le bombe vengono buttate direttamente sulla testa dei civili inermi. Può mai considerarsi un “danno collaterale” la morte anche di un solo bambino nel proclamato tentativo di sconfiggere il terrorismo internazionale?
E’ logico spargere terrore per combattere il terrore?
Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione. Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Il Governo di Zelensky, nell’ultima visita in Europa del 13 e 14 maggio, in cui ha incontrato anche il Papa, rifiutando le proposte di trattative del Pontefice, ha chiesto più armi per difendersi, presentandosi come baluardo dell’Europa contro le minacce espansionistiche russe. All’Europa non par vero di garantire profitti alle industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Il Governo chiede “armi, armi, armi”; invece altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo”, e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque le richieste sono molte e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e le sue forze armate, così come non c’è solo una resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. È possibile e realistica una scelta simile? In Italia chi parla di pace è definito filo-Putin, ma non è così. Il mio auspicio è che si possa risolvere una controversia seria internazionale senza ricorrere alle armi.
Una domanda alla quale vorrei poter rispondere e riflettere insieme a voi è questa: se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il Governo, con i sindacati, avesse dichiarato lo sciopero generale, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il Paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? Che cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? Fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare?

(giugno 2023)                                                                                                                                                 Gerardo Melchionda

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