A partire dal medioevo, i comuni cominciarono ad identificarsi con un’Impresa propria ed esclusiva: quella che oggi si definisce lo “stemma civico”. Oggi come allora, l’Impresa è costituita dauna figura (corpo dell’impresa) accompagnata da un motto (l’anima).Quasi sempre,i comuni antichi non conservano memorie storiche sicure e complete circa il proprio stemma, per cui è difficile stabilire:il periodo in cui venne adottato,ed il preciso messaggio simbolico che gli antichi araldisti vollero tramandare.Per trovare risposte a queste domande,è normale quindi interrogare le fonti letterarie che sono all’origine di gran parte degli attuali stemmi comunali, e che permettono di ritrovare, almeno in parte e per analogia, se non i significati autentici di questi antichi simboli, almeno il clima culturale in cui furono creati.Per ideare un’Impresa, gli “Araldisti” consultavano i “trattati di araldica” (quasi tutti del 1500 e 1600) tra le cui pagine apprendevano le regole di quest’arte che permetteva di trasformare in figura simbolica ogni sorta di oggetto, pianta o animale; trovavano pure raccolte di frasi famose di ogni letteratura; trovavano proverbi e modi di dire, da cui ricavare il motto appropriato da aggiungere alla figura. I trattati erano anche un vasto repertorio di imprese esemplari e famose, della nobiltà, del clero e delle arti, pronte a servire da modello, pronte ad essere imitate o rielaborate.Vedremo appunto come lo stemma del comune di Lagonegro, fu ideato quasi certamente avendo a modello una celebre impresa nobiliare del Rinascimento.
In un manoscritto del 1730,Lo storico cittadino Alessandro Falcone,affermava che nel 1552, con il passaggio di Lagonegro al Regio Demanio, il comune decise di adottare l’impresa con San Michele che trafigge il drago: stemma visibile ancora oggi in un bassorilievo murato al di sopra dell’antica porta cittadina. Prima di questa, secondo Falcone, esisteva un’impresa più antica, in cui era raffigurato un uccello svolazzante in acqua accompagnato dal motto “EMERGIT IMMERSUM”. Di quest’altra impresa,si conosce solo tale descrizione generica ed insufficiente diFalcone, che tra l’altro non dissedove aveva visto l’immagine (se in un documento, sigillo, dipinto o altro),fece solo intendere chei suoi concittadini vedevano in essaun’anatra svolazzante in un lago,e il lago era un chiaro riferimento al nome stesso della Città (un cosiddetto “stemma parlante”). Per Falcone l’uccello era un “Mergo”: il volatile che deve il suo nome latino “Mergus”, alla caratteristica di immergersi in acqua per catturare i pesci, e quindi riemergere. l’Uccello era noto in letteratura perla storia di Esaco, narrata da Ovidio nelle Metamorfosi: il figlio di Priamo, disperato per la morte dell’amata ninfa, Sterope, tentò di annegare buttandosi in mare da una rupe, ma gli Dei impietositi non lo fecero morire e lo riportarono in vita tramutandolo in mergo.
Essendo quest’uccello, per sua natura, abituato a muoversi con la stessa agilità sulla terraferma, in aria e in acqua, nei libri di araldica fu rappresentato nei diversi ambienti che gli erano consueti. Nell’emblema creato per Papa Gregorio Magno, ad esempio, si vede il mergo fuori dall’acqua muovere verso la riva. Il motto è: QUALIS INTRAVIT, EXIT,frase tratta dall’Esodo, dove si dice che il servo,tornato libero fuori dalla casa del padrone, dovrà indossare la stessa veste con cui è entrato; e così come il mergo riemerge senza essere bagnato,Papa Gregorio, uscì dagli onori mondani, senza aver partecipato della superbia, dei fasti e degli interessi.
Un altro esempio era l’impresa del medico e filosofo Lucio Scarano: il mergo vola con il pesce in bocca che ha catturato nell’acqua profonda. Il motto AB IMO PRAEDAM, dal profondo la preda, stava a significare che: solo la profondità nello studio da in premio la verità.
Un terzo esempio era l’impresa di Carlo d’Acquino conte di Martorano: un mergo a mezz’acqua in atto di spiccare il volo, accompagnato dal motto “MERSUS EMERGAM”.Quest’impresa stava a significare che:“la chiarezza della famiglia d’Acquino, che per lungo tempo era rimasta nelle tenebre, riprendeva speranza di riavere l’antico splendore”.
L’impresa d’Acquino era riprodotta nel “TRATTATO DELLE IMPRESE” di Giulio Cesare Capaccio,uno tra i maggiori testi di araldica dato alle stampe nel 1592;proprio in questo libro Alessandro Falcone aveva notato la similitudine tra questa impresa nobiliare e quella antica di Lagonegrocon il mergo.
Falcone si rammaricava che i suoi concittadini avessero abbandonata quest’impresa,se l’avessero mantenuta, essa poteva significare che: “La chiarezza dell’antichità di Lagonegro, per lungo tempo sottoposta alle tenebre del vassallaggio, prendeva speranza di riavere l’antico splendore”. All’impresa di Lagonegro, si sarebbe potuto adattare quindi, lo stesso significato dell’impresa d’Acquino. Manella narrazione del nostro storico c’era qualche contraddizione temporale: se lo stemma con il mergo era stato ideato trovando ispirazione dal libro del Capaccio (1592) come poteva essere precedente e più antico di quello con San Michele che trafigge il drago(1552)? Falcone era sicuro dell’esistenza di quest’impresa, oppure aveva fatto confusione su qualche antico documento?
Nonostante questi dubbi, l’idea di ripristinare l’antica (o presunta tale) impresa tornò utile più di un secolo dopo,nel clima politico anticlericale seguito all’unificazione dell’Italia, quando molti comuni modificarono o sostituirono gli stemmi comunali che avevano precise connotazioni religiose o devozionali.Questa forse la vera ragione, perché a Lagonegro si decise la sostituzione dello stemma, che in quegli anni mostrava ben due Santi, Michele e Nicola:circostanza imbarazzante in un comune sede di un importante ufficio governativo (Sottoprefettura ).
Il consiglio comunale del 14 novembre 1893 (Sindaco, l’Avvocato Carlo Pesce) deliberava così il “ripristino” dell’antichissimo stemma con il mergo,main realtà non si trattò di un ripristino: non esisteva infatti, nessuna immagine di questo stemma, a parte la descrizione generica ed insufficiente tramandata da Falcone.E’ naturale quindi che se ne creasse uno del tutto nuovo ispirato ad un modello antico,ed è evidente che l’araldista ( probabilmente lo stesso Sindaco Pesce, raffinato storico e bibliofilo ) seguendo le indicazioni di Falcone, trovò nel Trattato del Capaccio quello che poteva essere il modello più adatto da imitare: l’impresa di Carlo d’Acquino. Si arrivò così all’attuale stemma cittadino,modificando di poco quest’impresa: con l’aggiunta di una corona sul capo del mergo, a ricordo del Regio Demanio;della stella d’Italia; e cambiando il motto da Mersus Emergam a IMMERSUS EMERGO, affondo ma riemergo.
Anni dopo, scrivendo la “Storia della Città di Lagonegro”, l’Avvocato Pesce rivendicava la bontà della scelta, affermando che: “si erano voluti appagare dopo tanti anni i desideri del patrio scrittore Falcone”; ma qualche polemica con il Clero doveva esserci stata, visto che il Parroco del tempo, Mons. Raele, replicava che: “togliendosi dallo stemma i due Santi, certo non si interpretò il sentimento della cittadinanza”.
Giuseppe Iudici