Biagio Scaldaferri: “Il mio ricordo del bombardamento di Lauria”

La mattina del giorno 7 settembre 1943.io e mia madre eravamo andati a casa di mia nonna materna, che abitava in Via Carlo Alberto “Taverna”, e dopo un po’ che eravamo lì incominciarono a sentirsi rombi di aerei e boati. Una famiglia. composta da marito moglie e due bambine, di cui una di pochi mesi, che abitava vicino a casa di mia nonna, venne da noi, mentre una bambina, di nome Rita, più o meno mia coetanea, che giocava a casa loro fu chiamata dalla madre che abitava nei pressi. A questa bambina mia donna disse: “Rita corri, corri a casa figlia mia perché ti sta chiamando tua madre”.

Mentre gli scoppi ed i boati si facevano più frequenti ed intensi il vicino di casa, unico adulto presente, prese un po’ il comando della situazione. Già in precedenza, nel timore di un bombardamento, mia nonna aveva fatto fare ad un parente un sopralluogo alla casa per stabilire un eventuale rifugio. I posti indicati furono due: una specie di grotta al piano terra ed un arco nel muro, (una volta in muratura di rinforzo e di spessore maggiore del muro), prospiciente via Carlo Alberto al primo piano. Fu scelto quest’ultimo posto come rifugio. Ci sistemammo sotto “l’arco”, per meglio dire ci ammassammo in piedi, in quanto tra grandi e piccoli eravamo in otto, mentre gli scoppi erano quasi continui. Ad un certo punto ci fu uno scoppio fortissimo, la casa tremò tutta ed istantaneamente su invasa da un polverone. La bambina piccola lanciò un urlo quasi inumano, io gridai “mamma mi soffoco”, il vicino di casa, che si era sistemato avanti a tutti noi a braccia distese a mò di protezione, diceva “calma, calma, respirate mettendo un fazzoletto sulla bocca”, Non si vedeva niente eravamo immersi tutti in un polverone. Per nostra fortuna gli scoppi cessarono, pian piano il polverone che ci avvolgeva incominciò a diradarsi, quando ritornò una certa visibilità il vicino ci invitò a non muoverci perché sarebbe andato lui avanti a vedere cosa era successo. Così fece. Si avvicinò ad un balcone, distante un paio di metri, che dava su Via Carlo Alberto e disse: “siamo vivi per miracolo. La casa di Donna Mariuccia (era quella difronte) è rasa al suolo, quelle a fianco sono danneggiate, qui il balcone non esiste più, il pavimento è tutto sconnesso, ora non muovetevi perché io vado avanti a vedere se l’uscita è libera e sicura”. Ritornò subito e ci invitò a muoverci uno per volta, per paura che il solaio potesse crollare, verso l’uscita che era sul lato opposto di Via Carlo Alberto.

Quando fummo tutti fuori, senza aver preso niente di personale, neppure un fazzoletto, si decise di andare in una grotta annessa ad un’abitazione poco distante. La stessa idea, però, l’avevano avuta molte altre persone, perché quando. giungemmo noi nella grotta-ricovero non c’era più posto.

Ritornammo indietro, con i vicini si decise di separarci perché un gruppo meno numeroso avrebbe trovato, forse, più facilmente ospitalità in qualche posto ritenuto più sicuro. Mia nonna e mia madre ripassando vicino casa entrarono, e con molta paura e prudenza, presero qualcosa da mangiare ed un po’ di biancheria. Ci avviammo verso la contrada Seta, dove dei nipoti di mia nonna avevano una piccola casa, per chiedere loro ospitalità. Durante il tragitto, fatto naturalmente a piedi e sotto un sole cocente, incontravamo gente, impaurita come noi, che cercava rifugio verso la campagna. Giunti presso il Convento dei Cappuccini udimmo un rombo ed un aereo passò a bassa quota, immaginate voi che spavento ci prendemmo, comunque l’aereo si allontanò senza compiere alcuna azione. Tirammo tutti un sospiro di sollievo ed affrettammo il passo per allontanarci il più possibile dal centro abitato. Finalmente giungemmo alla casetta dei parenti di mia nonna, vi trovammo sei persone, due maschi e quattro donne, che ci accolsero con grande disponibilità, noi eravamo in cinque, quattro donne più io.

BS

 

 

 

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