Qualche mese fa scrissi che di notte arrivano le notizie che non vorresti ricevere, lo scrissi per Tonino Filardi, sono costretto a scriverlo ancora: questa notte è morto Franco Pongitore!
Quante avventure in questo lungo viaggio, caro Franco. È stato davvero un “grande sogno” come mi hai detto pochi giorni fa, ricordando le nostre storie. Un sogno partito dalla nostra felice adolescenza e arrivato fino ai nostri giorni, integro. Un sogno fatto di bellezza e di scoperte, di vertigini e di emozioni, di tenacia e soddisfazioni. Un sogno che ci faceva vedere un altro mondo possibile. Avevamo costituto un gruppo dove eravamo tutti amici. Insieme abbiamo condiviso battaglie nelle quali ci siamo ritrovati spesso soli, anche osteggiati. Sempre insieme da quando bambini giocavamo insieme, a quando adolescenti e adulti andavamo alle scuole superiori e poi all’Università a Napoli. Domani verrò a salutarti, verrò insieme a Fernando, così come facevamo tante volte a Napoli. Questa volta non ci aprirai tu la porta, forse sarà tuo figlio Alberto o tua moglie Mercedes.
In queste ore il silenzio mi assale e il dolore si moltiplica, ricordo l’associazione cattolica, dedicata a Don Giovanni Bosco, che tu da cattolico consapevole volesti ostinatamente formare, in quella casa, a Nemoli, che oggi ospita la famiglia Di Giorgio. Quel “laboratorio bottega” di tuo padre, in via Roma, trasformato in un minuscolo centro sociale, divenne il nostro ritrovo e in quel luogo sono nati i sogni; hanno preso corpo i percorsi che hanno animato la vita politica e sociale del nostro paese. La Proloco fu pensata lì, da noi, quattro amici, e solo dopo condivisa con gli altri e offerta agli altri, i primi ruggiti di un sessant’otto nemolese. Era lì la sede delle nostre prime discussioni politiche la prima vera alternativa al partito della Democrazia Cristiana, alla Chiesa e all’ipocrisia borghese che imperava a Nemoli. Insieme a te realizzammo un progetto di un paese diverso, più giusto, più equo, più etico. Le tante discussioni, animate anche dalle differenze che emergevano, ci invogliavano ad essere protagonisti della nostra esistenza, a partecipare alla vita sociale e politica del nostro paese, che abbiamo sempre amato. Quelle discussioni ci servirono, dopo, quando ci ritrovammo all’Università. Ti sono servite quando sei diventato, prima di diventare un insegnante, un bravo geologo.
Sono consapevole che la vita è anche angoscia e sofferenza e ci riserva questi momenti di disperazione, ma viverli non è facile.
Sei stato un uomo giusto al quale davano fastidio le persone prepotenti. Quando entravi lo facevi con rispetto degli altri. Sei stato con tutti affettuoso.
Quante volte ti ho visto arrabbiato, ma non dimenticherò mai la tua rabbia il giorno prima del matrimonio, quando ti rasammo la barba contro la tua volontà.
A noi restano i ricordi. Ma loro, i ricordi, sono l’arma più potente di tutte: nessuno è in grado di cancellarli e quelli più forti sopravvivono persino al tempo che fugge senza pensare alle vittime che miete. I ricordi sono la forza che mantiene in vita tutti.
Cesare Pavese ha scritto la poesia “All’amico che dorme”
Che diremo stanotte all’amico che dorme?
La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l’amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.
La notte avrà il volto
dell’antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un’anima, muto, nel buio.
Parleremo alla notte che fiata sommessa.
Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell’ansia dell’alba,
che verrà d’improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L’inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.
GM